mercoledì 7 luglio 2010

Noi rifiutiamo il vostro futuro feudale


Pubblichiamo di seguito l'articolo del compagno Claudio Riccio apparso sul blog de l'Espresso

LA RIVOLTA DEI GIOVANI?
una generazione che discute di sé stessa, tra paure e speranze, voglia di fuggire o di lottare


Noi rifiutiamo il vostro futuro feudale

“Corri compagno! Il passato è alle tue spalle”. Questa scritta capeggiava su un muro della Sorbona di Parigi nei primi giorni di un Maggio di 42 anni fa. Alcuni hanno corso così tanto da non avere più nulla davanti da aver sconfinato, saccheggiato in quel che era nostro, nel nostro tempo, in quello che doveva restare sopito ad attenderci.


E ora chi ha corso tanto ci guarda, e ci disprezza, come ogni generazione guarda chi li segue con superiorità spesso infondata.

Credo che la vis polemica e la rabbia che traspare da alcune delle repliche a Curzio Maltese derivi da quell'inconscio scatto d'orgoglio, quella consapevole incazzatura che sorge in ciascuno di noi dinanzi ai paternalistici e boriosi professoroni che ci guardano e ci dicono: “eh ma io ho fatto il '68”, i quali a loro volta si sentirono dire dai propri genitori - dai nostri nonni - “eh, ma io ho fatto la Resistenza...”

Ma oggi quel che è nato dalla Resistenza, ovvero la Costituzione Repubblicana, e quel che è scaturito dalle lotte degli anni '60 e '70, ovvero i diritti e lo stato sociale, sono stati spazzati via, spesso con la complicità stessa di chi quelle lotte le aveva condotte.

Il dibattito scaturito dall'articolo di Curzio Maltese è forse più legato all'autore, che al testo in sé. Se quello stesso testo fosse stata opera di un qualsiasi ragazzo, studente o precario che fosse, non avrebbe causato alcuna reazione, se non un “mi piace” su Facebook.

Motivo della reazione è l'età, il lavoro, la condizione dell'autore, e il giornale per cui il giornalista Curzio Maltese scrive: la Repubblica.

Le reazioni al dibattito sono state molteplici, ma tutte molto emotive, scritte di getto, quasi di pancia. Non è semplice mantenere la lucidità su questo tema, esistono tanti giovani che resistono quotidianamente, resistono alla crisi, alla precarietà, alla voglia di fuggire, all'ignavia. Esiste una miriade di ragazzi che si rivolta e prova a “rivoltare”, sé stessi, gli altri coetanei, prova a “rovesciare il tavolo”. Ma sono, e siamo invisibili. E lo resteremo, a meno che Curzio Maltese non colga l'occasione di questo dibattito per lasciarci parlare, raccontare, e non per, come spesso avviene, raccontarci nel peggiore dei saggi sociologici sulla “generazione x”.

Siamo invisibili. Diventiamo visibili solo se Repubblica decide che le rivolte dei giovani sono più utili e funzionali all'opposizione di quanto non lo siano le abitudini sessuali del Presidente del Consiglio, e allora le nostre proteste quotidiane finiscono improvvisamente in prima pagina, e Curzio Maltese si immerge nell'Onda e la racconta. Ma poi gli stessi studenti continuano a scendere in piazza, occupano le facoltà, magari per 21 giorni a Bari nel mese di Maggio (come è capitato a me poche settimane fa). In questi casi non ci viene riservato neanche un trafiletto se non sulle edizioni locali. Torniamo a essere invisibili, quando lo decidete voi, ma seppur non evidenti ai più continuiamo a vivere, a esistere, a lottare. La nostra, lo ricordo, è una lotta difficile, perchè di fronte non abbiamo né grandi nemici visibili, né i mulini a vento.

Siamo nella peggior crisi del sistema capitalistico, voi avevate le ideologie e libri piovuti dal cielo che vi indicavano il cammino, voi avevate il boom economico, i partiti e le grandi organizzazioni di massa. Noi non abbiamo nulla.

Sia chiaro, non stiamo aspettando il nuovo “manifesto” che ci dia la linea, non ne vogliamo, non vogliamo maestri, padroni e padrini, esigiamo solo rispetto, curiosità e autonomia.

Non siamo solo dei giovani, siamo dei cittadini, mantenuti nel ghetto del “devono farsi le ossa”, mentre nel frattempo c'è chi mangia il resto, consuma risorse, chiude porte e spazi.

Non ho mai amato la categoria dei giovani, anzi, posso dire che fino a poco tempo fa sostenevo convintamente: “io odio i giovani”. Odio i giovani come categoria, odio il fatto che un quarantenne sia giovane, odio i cognomi che suonano familiari nei posti chiave del Paese ed i giovani prof. Universitari che fanno carriera cooptati dal loro stesso papà, odio chi dice che ci vogliono più giovani in politica, dato che ho visto fare ai giovani politicanti azioni più becere di vecchi squali democristiani di 80 anni, odio i giovani come categoria indefinita, odio le generalizzazioni, tanto quanto “odio gli indifferenti”, indipendentemente dalla loro età.

Con ciò non voglio dire che non esista una questione giovanile in Italia. Esiste una condizione dei giovani simile a quella di altre categorie discriminate dalla miopia e dall'individualismo dell'Italia: i giovani, come le donne, come gli stranieri, come i più poveri, non hanno spazio e alcun peso decisionale nella vita del Paese.

Vivo in una Italia in cui i giovani son chiamati bamboccioni, ma tutto impedisce loro di andar via di casa. Non esistono forme di reddito di cittadinanza, non esistono sostegni per la casa, per la mobilità, non ci sono speranze di un lavoro stabile.

“Tutto procede per il meglio”. Così ci ha detto il Capitano del Titanic urlando nelle nostre orecchie da che eravamo bambini.

“Largo ai giovani” ci hanno detto i fabbricanti di precarietà, le stesse persone che sostengono il valore sacro della famiglia, ma che una famiglia ti impediscono anche solo di immaginarla.

C'è chi ci esorta a un conflitto generazionale, come fa Curzio Maltese dalle colonne del Venerdì, come ha fatto sul Corriere “Pigi” Battista, giornalista reazionario dal passato trotzkysta. Nel contempo Brunetta ci propone di togliere i soldi ai pensionati per darli ai giovani. Ma noi rifiutiamo, non solo perché non vogliamo briciole di welfare da sottrarre ai nostri nonni. Rifiutiamo le idee di Brunetta Perché non accettiamo il conflitto generazionale in una ottica redistributiva, perché non vogliamo la guerra tra poveri, auspichiamo e lavoriamo, in tante e tanti, per una grande ribellione generale che ambisca a costruire una società migliore, vogliamo un mondo nuovo, un mondo che finalmente abbia un futuro, non solo per la nostra generazione.

La mia generazione non è caratterizzata da un numero, un anno o un decennio, ma dalla cifra della precarietà, unica variabile certa che ci unisce. Fermo restando le “differenze di classe” - per usare un termine desueto – la crisi economica, ambientale, sociale sono un po' come la livella di Totò, dinanzi a un tale sfacelo siamo tutti – o quasi – uguali, senza un futuro.

I lavoratori di Pomigliano difendono il diritto al lavoro, i diritti sindacali, il contratto nazionale collettivo, tutte conquiste fondamentali che non sono, però, che archeologia per quella che è la vita che mi si prospetta davanti, una vita sotto il ricatto non di Marchionne, ma della precarietà. Nonostante ciò sono e siamo con loro. Siamo con loro anche perché il lavoratore 50enne che perde il lavoro per la crisi economica e non riesce a rientrare nel mercato del lavoro è uguale a me, appartiene alla mia stessa generazione, è una proiezione futura di quella che sarà la condizione permanente della vita mia e dei miei coetanei. Colaninno Jr., Federica Guidi, e i vari giovani di confindustria, ovviamente no. Sono il prodotto marcio di un'altra epoca che, sotto le smentite spoglie nuoviste, resiste e cerca di rimanere quel che è: feudalesimo.

Hanno rapito il futuro, e i colpevoli sono – senza retorica - il passato e il presente, che vivono il loro panciuto benessere sulle spalle fragili dello sfruttamento di miliardi di persone nel mondo con la casa e il suv garantiti dall'ipoteca posta a nostra insaputa sul nostro futuro.

Vogliamo potere scegliere delle nostre vite, ma non vogliamo limitarci a liberare il futuro dai suoi sequestratori. Rifiutiamo il futuro che la vostra generazione ha costruito per noi, vogliamo abbatterlo e ricostruirlo, costruire un mondo nuovo, tutto da inventare.

Ma vi accoglieremo nel nostro mondo nuovo, perché non abbiamo rancore.

Claudio Riccio, 25 anni, studente

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